Le maschere di Carnevale

Come tutte le tradizioni, anche il Carnevale ha perso il senso primigenio per cui era nato, ovvero banchettare riccamente prima della quaresima: Carnem levare, eliminare la carne per i quaranta giorni che precedevano la Pasqua. Festa di origine cattolica, spesso ha assunto il ruolo del dileggio e dello sberleffo, dove le maschere, e il mascherarsi, permetteva di dire e fare cose spesso vietate.
Oggi rimangono le sfilate, i carri allegorici e le mandrie di turisti che ben poco ricordano la satira della festa originaria.
In tutta la penisola, esistono maschere tradizionali, che spesso appartengono alla commedia dell’arte, e nelle scuole e abitudine ricordarle, cosi mettiamo in rima alcune tra le più famose.

Maschere d’Italia, in lungo e in largo
Del passato riportano lo sguardo,
Di quando prima della penitenza
Ci si faceva beffe della nobile presenza.

Si celebri il martedì grasso
Con Balanzone, Brighella e il signor Pautasso
Si ricordi Arlecchino, Giacometta,
Il signore, il padrone e la servetta.

Si rammenti la storia del sior Pantalone,
burbera maschera di veneziana tradizione.
Il naso adunco, il lungo pastrano,
Vive una vita di seconda mano.

È cosi taccagno
Che risparmia sull’acqua del bagno,
Cosi va in giro puzzolente
Per non stringere la mano alla gente.

Ha paura pure di respirare
Perché pensa possa costare.
È la parte più spregevole della commedia dell’arte,
Specchio di chi rimane volontariamente sempre in disparte.

Per fortuna c’è Colombina,
Che porta gioia dalla sera alla mattina,
Risolvendo con arguzia e furbizia
I problemi che nascono da tanta umana avarizia.

Di lui ci rimane il nome,
Che ricordiamo la mattina dopo colazione,
Quando infiliamo quell’indumento
Che riporta a quel suo portamento.

In Piemonte, nelle piazze di Torino
Muoveva invece, un burattino,
Parlando di risorgimento e unità di cuore
Con fare allegro e tricorno tricolore.

Divenne cosi influente
Che riuscì a modificare il parere della gente,
Attraverso satira e caricatura
Dal governo alla prefettura.

Prende il nome da quella strana bottiglia
Che contiene vino e altra meraviglia.
Da lui prende il nome quel cioccolatino
Che ha fatto conoscere la sua città: Torino.

Più incerte le origini di Pulcinella,
Che di Napoli rimane la stella.
Potrebbe essere attore, piccolo pulcino
Oppure spettacolo del Romano teatrino.

Tratti somatici dei sobborghi della città,
Passa da servo e contadino di poche qualità,
A difensore, anti-eroe e rivoluzionario
Simbolo di lotta del popolo reazionario.

Nelle marionette è servo di Mangiafuoco
Ma è maschera che tiene sempre il gioco:
tutto l’anno e non solo a Carnevale
Pulcinella allieta con il suo tratto cosi gioviale.

Di tanti altri potremmo raccontare,
Ma il tempo è tiranno è ci tocca andare.
Non si offendano i non citati,
Non sono stati dimenticati:

Finché rimarrà un solo bambino
Che si vestirà da Pulcinella o Arlecchino
Rimarrà nella memoria
Del Carnevale, la sua storia.

 

Immagine tratta dal sito: https://www.camacana.com/. Si ringrazia @camacana per l’involontario prestito. L’autore afferma che non ci sono interessi diretti e che questa filastrocca non è in alcun modo legata all’attività dell’azienda. L’autore ci tiene altresì a sottolineare la bontà del lavoro degli artigiani veneziani.

 

 

 

 

 

 

Pubblicato da grammaticadellafantasia

“Se avessimo una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare” Novalis (1772-1801) Grammatica della Fantasia è un omaggio a Gianni Rodari, alla sua capacità di capire chi ascoltava e inventare storie che potessero conquistarlo. Essere un alchimista della parola è possibile anche in questo mondo fatto sempre più di immagini, di forma, di apparenza. L’obbiettivo e ampliare il proprio orizzonte attraverso “la carica liberatoria della parola” che diventa carburante e mezzo di trasporto verso la concretizzazione dell’immaginazione.